17 anni di sangue e orrori nel cuore della campagna toscana, e una storia, quella del “Mostro di Firenze”, non ancora risolta. Cosa è successo e perché, ancora oggi, il caso è intriso di segreti e domande.
È uno dei casi più sanguinosi e sconvolgenti della cronaca nera, così enigmatico e denso di punti interrogativi, sfumature e teorie da finire di prepotenza Oltreoceano, sul tavolo dell’FBI al vaglio degli investigatori americani. Perché quella del Mostro di Firenze è una storia sì tutta italiana, ma così grande e pesante da segnare in modo indelebile un capitolo di storia su scala internazionale. Serial killer solitario o una “piramide” a più livelli in azione, dal basso verso l’alto, con una “manovalanza” ad agire sulle povere vittime e un vertice a muovere le trame come un burattinaio? 8 duplici omicidi, 8 giovani coppie massacrate, alcuni corpi orrendamente mutilati sulla scena del crimine e una scia di orrori lunga circa 17 anni, dal 1968 al 1985…
Chi è il “Mostro di Firenze”?
Con il termine “Mostro di Firenze” si indica il profilo dell’autore di una serie di duplici omicidi, per un totale di 8, avvenuti fra il 1968 e il 1985 nella stessa provincia toscana e commessi con l’uso di diverse armi tra cui un tratto comune: una Beretta calibro 22. Si tratta del primo caso di delitti seriali in Italia, le vittime tutti giovani fidanzati sorpresi dal killer nella loro intimità e orrendamente uccisi.
Ancora oggi, intorno a questa vicenda, gravitano interrogativi che inducono a pensare che sarebbe più corretto parlare di “mostri” di Firenze, usando una formula plurale che comprenderebbe volti, tra presunti esecutori e mandanti, mai finiti nel fuoco delle indagini e perciò rimasti impuniti…
Il caso, su cui per anni lavorarono le Procure di Firenze e Perugia, fu sottoposto anche all’attenzione dell’FBI per tentare di inquadrare il profilo dell’assassino, o degli assassini, e spuntò anche un identikit. Oltreoceano stabilirono che ad agire, sulle scene del crimine anno dopo anno, fosse soltanto una persona, ma oggi restano parecchi dubbi anche alla luce del risvolto processuale assunto dalla questione.
Nessun fatto di cronaca nera ha terrorizzato l’Italia come il caso del Mostro di Firenze, sull’onda di massacri spaventosi e inquietanti dietro cui, tra le tante teorie sul tavolo degli inquirenti, si innestò anche una pista esoterica. Una storia così oscura da invadere l’intimità delle case e dei cuori, così agghiacciante e imprevedibile da compromettere la percezione di sicurezza su scala prima locale, poi nazionale.
Da decenni scorre inchiostro sui delitti del Mostro, carta stampata, tv e web tornano spesso sui binari di quel controverso capitolo di morte alla ricerca di riflessi finora inesplorati. Pesantissimi furono i contraccolpi sulle abitudini dei cittadini della provincia toscana di allora, martoriata da quella inenarrabile scia di orrori tanto che, negli anni ’80, Firenze e provincia piombarono nella psicosi. Le coppie furono invitate a evitare di appartarsi in luoghi isolati di notte persino con uno spot televisivo, diffuso in più lingue, per spiegare ai ragazzi di fare attenzione. Là fuori, tra le tenebre e l’ombra della normalità, c’era qualcuno pronto a colpire ancora.
Le condanne per i delitti del Mostro di Firenze
L’inchiesta avviata dalla procura di Firenze sfociò nel processo e nella condanna in via definitiva, nel 2000, a carico di due uomini considerati dalla giustizia esecutori materiali di 4 duplici omicidi del Mostro. Erano i cosiddetti “compagni di merende” Mario Vanni e Giancarlo Lotti (quest’ultimo, reo confesso, artefice di una chiamata in correità dei suoi presunti complici).
Il terzo uomo, il contadino di Mercatale Pietro Pacciani, fu condannato in primo grado a diversi ergastoli per i duplici delitti registrati dal 1974 al 1985. Assolto in secondo grado, morì nel 1998 prima di essere sottoposto al processo di appello bis che sarebbe dovuto iniziare dopo l’annullamento della sentenza di assoluzione ordinato in Cassazione nel 1996.
Ad oggi, trascorsi decenni dai delitti del Mostro di Firenze, per 3 degli 8 duplici omicidi ascrivibili a quell’atroce tessuto di crimini nessuno è stato condannato. L’iter giudiziario scaturito dalle inchieste sulla morte delle 16 vittime ha portato a sentenze che avrebbero fotografato una storia secondo tanti ancora in gran parte da scoprire, nella cornice – ben più ampia, profonda e stratificata – di una sorta di “cooperativa dell’orrore” dalle forme di una setta, di cui non sarebbe mai emerso il presunto “secondo livello” a governare le azioni dei “compagni di merende”. La posizione dell’ultimo sospettato, un ex legionario, è stata archiviata nel 2020.
Le vittime del Mostro di Firenze
Le vittime consegnate dalla “mano” del Mostro di Firenze alle cronache sarebbero 16. Dubbi si alternano sul fatto che il primo duplice omicidio, quello del 1968, sia stato effettivamente parte della serie di efferati delitti attribuiti alla stessa sequenza di orrori. Tra le teorie anche presunti depistaggi, legami con la massoneria, l’esoterismo e la prostituzione, una “pista sarda” fino all’ipotesi di un coinvolgimento a livello di servizi segreti e all’ombra di un serial killer americano, Zodiac. Il bilancio è solo uno: il caso ha ancora tantissimi punti oscuri mai chiariti e nessuna cornice che possa dirsi definitiva.
La Beretta calibro 22, proiettili Winchester con lettera H sul fondello, avrebbe firmato con il sangue un tragitto di crimini lungo 17 anni. Un’arma che sarebbe entrata in azione per la prima volta il 21 agosto 1968 a Castelletti di Signa: con quella pistola, mai ritrovata, il Mostro di Firenze avrebbe avviato i suoi raccapriccianti crimini uccidento la prima delle 8 coppie massacrate fino al 1985.
Tutti gli omicidi attribuiti al Mostro hanno coinvolto giovani coppie appartate nella campagna toscana. Tutte in auto tranne l’ultima, sorpresa in tenda. In tutti i delitti sarebbe stata usata la stessa arma da fuoco e in alcuni sarebbero intervenuti vari tipi di arma tra cui punteruoli e lame.
In diversi casi, il killer ha praticato mutilazioni genitali con escissione del pube delle donne uccise. In due casi, alle vittime femminili è stato asportato il seno sinistro (secondo una tesi senza conferme avanzata dal reo confesso Lotti, si sarebbe trattato di feticci prelevati dalla scena per essere consegnati, dietro pagamento, a un ignoto mandante nell’alveo di riti esoterici. Un “dottore”, avrebbe detto l’imputato Lotti che rivestì anche il ruolo di teste, che avrebbe commissionato quei delitti. Sarebbe stata questa dichiarazione di Lotti a indurre Michele Giuttari, inquirente, a indagare sul patrimonio di Pacciani). In un caso, l’assassino ha inserito un tralcio di vite nella vagina della vittima.
I delitti del Mostro di Firenze
– 21 agosto 1968 – Barbara Locci e Antonio Lo Bianco, amanti, uccisi in auto a Castelletti di Signa mentre sul sedile posteriore si trovava il figlio della donna, Natalino Mele, 6 anni, unico scampato alla mano assassina. Il duplice delitto fu ascritto alla serie del “maniaco delle coppiette” o Mostro di Firenze dopo anni, e per gli omicidi fu condannato il marito della donna (14 anni di carcere) Stefano Mele. L’uomo, inizialmente autoaccusatosi dei delitti, avrebbe scontato un lungo periodo di detenzione ed è morto nel 1995. Pochi mesi prima della conclusione del primo grado di giudizio a carico di Pietro Pacciani, condannato all’ergastolo nel 1994 per i 7 duplici omicidi del Mostro successivi (tutti eccetto il primo, appunto, da cui fu assolto con formula dubitativa e per il quale Mele aveva scontato 13 anni di reclusione).
– 14 settembre 1974 – Stefania Pettini, 18 anni, e Pasquale Gentilcore, 19, uccisi a Sagginale, Borgo San Lorenzo. La ragazza fu colpita con oltre 90 coltellate e ritrovata fuori dall’auto, a terra, come in una posa studiata, con un tralcio di vite inserito nella vagina.
– 6 giugno 1981 – Carmela De Nuccio, 21 anni, e Giovanni Foggi, 30, uccisi a Mosciano di Scandicci. Alla donna fu asportato il pube con una tecnica definita esperta. Tre tagli netti.
– 22 ottobre 1981 – Susanna Cambi, 24 anni, e Stefano Baldi, 26, uccisi alle Bartoline a Calenzano. Il delitto (come quello di 4 mesi prima a Mosciano, e quello del 1974 di Sagginale) è rimasto senza colpevoli: a processo sarebbe stata esclusa la mano dei “compagni di merende” Pietro Pacciani, Mario Vanni e Giancarlo Lotti. Anche in questo caso alla ragazza fu praticata l’asportazione del pube.
– 19 giugno 1982 – Antonella Migliorini, 19 anni, e Paolo Mainardi, 22, uccisi a Montespertoli. Le vittime raggiunte da diversi colpi di pistola, il ragazzo, dopo i primi spari, avrebbe provato a mettere la retromarcia e fuggire ma la macchina sarebbe rimasta incastrata in un fosso e l’assassino, trovandosi lungo un’area trafficata e quindi esposta, avrebbe portato a termine l’azione omicidiaria senza avere modo di praticare le escissioni dei feticci né infierire sui cadaveri.
– 9 settembre 1983 – Uwe Rusch e Horst Meyer, due ragazzi tedeschi di 24 anni, uccisi a Giogoli. Colpiti nel sonno dentro il loro pulmino Volkswagen. È l’unico duplice delitto del Mostro in cui le vittime sono dello stesso sesso, in questo caso maschile.
– 29 luglio 1984 – Pia Rontini, 18 anni, e Claudio Stefanacci, 21, uccisi a Vicchio. È il crimine più efferato: la ragazza sottoposta alla asportazione di seno sinistro e pube.
– 8 settembre 1985 – Nadine Mauriot, 36 anni, e Jean Michel Kraveichvili, 25, francesi, uccisi nel bosco degli Scopeti a San Casciano. È l’ultimo delitto attribuito al Mostro di Firenze, anche questo con escissione di pube e seno sinistro alla giovane donna (un brandello di questo ultimo feticcio fu spedito per posta a Silvia Della Monica, sostituto procuratore allora da qualche tempo non più inquirente sui delitti del Mostro).
Fino all’estate 1982 gli investigatori avevano escluso dalla serie del killer di Firenze il duplice omicidio del 1968, quello ascritto al Mele. Il caso sarebbe stato collegato al Mostro dopo il ritrovamento, il 20 luglio 1982, di un sacchetto con 5 bossoli e cinque proiettili calibro 22 lettera H negli atti del processo a carico dello stesso Stefano Mele per le uccisioni della moglie Barbara Locci e dell’amante di lei, Antonio Lo Bianco. Il giudice Mario Rotella avrebbe definito la scoperta una “fortuita combinazione”, sebbene non siano mancate ombre di depistaggi e coinvolgimenti di piani alti anche tra inquirenti. Per legge, infatti, i reperti si sarebbero dovuti trovare altrove, cioè custoditi nell’ufficio corpi di reato e non in uno dei faldoni processuali.
La “Sam” e la conclusione processuale del caso Mostro di Firenze
Nel 1984, fu creata la “Sam“, Squadra anti mostro, coordinata presso la Questura di Firenze da Ruggero Perugini, ‘superpoliziotto’ specializzato a Quantico con collegamenti con l’FBI. Nel 1985 una lettera anonima sul caso avrebbe indicato il nome di Pacciani come degno di interesse investigativo. Nel 1991, le forze dell’ordine si sarebbero concentrate sul suo profilo come potenziale serial killer dietro la raccapricciante sequenza attribuita al Mostro, quando il contadino di Mercatale si trovava in carcere con l’accusa di aver violentato le due figlie.
Alle spalle, Pacciani aveva una condanna a 13 anni di reclusione, pena scontata per l’omicidio dell’amante della fidanzata commesso quando aveva 26 anni: dopo averli sorpresi insieme e aver ucciso il “rivale”, avrebbe costretto la giovane a un rapporto sessuale davanti al cadavere. Successivamente avrebbe detto agli inquirenti di essere stato preda di un raptus per aver visto la fidanzata mostrare il seno sinistro all’uomo che poi avrebbe brutalmente ucciso. Un elemento, quello del seno, tornato prepotentemente in scena proprio nell’inchiesta sul Mostro di Firenze al punto da contribuire a inchiodare l’identità di Pacciani a quella dell’assassino seriale in azione nelle campagne fiorentine tra la metà degli anni ’70 e ’80, per via delle escissioni compiute su alcuni cadaveri.
In una fase dell’inchiesta sui delitti, si ipotizzò l’esistenza di un secondo livello composto da mai definiti pezzi “grossi” che, secondo una delle teorie, avrebbero sborsato ingenti somme a favore degli esecutori materiali. Un presunto sistema che avrebbe spiegato la consistente disponibilità di denaro e proprietà del Pacciani, detto “Il Vampa” per la sua irascibilità, altrimenti non giustificabili (sebbene alcuni ritenessero che avesse semplicemente risparmiato perché irrimediabile avaro).
Tra le ipotesi sui mandanti spuntarono il nome di un farmacista d San Casciano – unico processato con l’accusa di essere regista dei crimini (sulla base di quanto denunciato dalla moglie, infine rivelatasi inattendibile) e poi definitivamente assolto (con sentenza mai appellata dalla Procura) -, Francesco Calamandrei, e quello di un noto gastroenterologo perugino, Francesco Narducci, morto in circostanze nebulose un mese dopo l’ultimo dei duplici omicidi del “Mostro di Firenze”. Anche questa pista si arenò senza alcuna prova.
Ma la sensazione che i profili psicologici dei “compagni di merende” Vanni, Lotti e Pacciani non rispondessero a una capacità mentale utile a partorire e pianificare quella serie di agghiaccianti e articolate aggressioni fu una costante. Un sospetto che ancora attraversa le cronache con un carico di pesantissimi interrogativi insoluti.
Il 1° novembre 1994 Pietro Pacciani fu condannato in primo grado all’ergastolo. Il 13 febbraio 1996 fu assolto in appello per non aver commesso il fatto e scarcerato. La Cassazione sarebbe intervenuta con annullamento della sentenza e rinvio in appello per un processo bis, mai celebrato per morte dell’imputato. Il decesso di Pacciani, secondo alcuni, fu a sua volta un omicidio.
Nella presunta cerchia dei “compagni di merende” spuntò, nel 1995, il nome di Fernando Pucci. Entrò nell’inchiesta come teste chiave, per gli inquirenti “Alfa”, sedicente testimone oculare dell’omicidio della coppia francese a Scopeti. Fu Lotti a chiamarlo in causa invitando gli inquirenti a trovare conferme sul delitto sentendo proprio lui perché, a loro dire, erano insieme sulla scena insieme a Pacciani e Vanni.
Oltre all’amico Pucci, che avrebbe detto di aver assistito a due dei crimini, nell’inchiesta si accese un faro anche su Giovanni Faggi, indicato come parte del gruppo vicino a Pacciani e poi assolto in tutti i gradi di giudizio da ogni accusa sugli omicidi.
Il 26 ottobre 2000, due “compagni di merende” furono condannati in via definitiva: ergastolo per complicità in quattro delitti a Mario Vanni (detto “Torsolo“). 26 anni a Giancarlo Lotti (detto “Katanga“), principale accusatore degli altri due finiti alla sbarra. La fine dell’iter processuale non ha risolto l’interrogativo di fondo che continua a mordere le cronache: davvero fu un “mostro a tre teste” con quei soli autori coinvolti?